Porgi l’altra guancia

È possibile coniugare il cammino nel MEG, la fede, con l’impegno in uno sport a livello agonistico? Dopo una chiacchierata con Chiara Mormile, del gruppo Testimoni di Roma, abbiamo capito non solo che è possibile, ma che è anche… vincente!
Chiara, come descriveresti i tuoi inizi, tra sport e fede?
Quando ero bambina, amavo sperimentare e fare mille attività. Rispondevo con entusiasmo a qualsiasi tipo di stimolo provenisse dall’ esterno… Eppure, una cosa che proprio non mi piaceva fare era andare a catechismo. Nella mia parrocchia le regole erano molto rigide: dovevamo stare seduti, imparare i dieci comandamenti e recitare bene le preghiere. Non c’era spazio per domande o eventuali dubbi, ed essendo io molto curiosa, mi sentivo limitata. Ricordo però che feci la prima comunione con molta emozione perché, anche se non lo capivo ancora, per me la fede sarebbe stata un elemento molto importante della mia vita.
In quello stesso anno cominciai a fare scherma. Ispirata dalla vittoria di Aldo Montano alle Olimpiadi, mi avvicinai a questa disciplina. Inizialmente non mi divertiva molto, ma traevo moltissima soddisfazione dalle prime vittorie nelle gare regionali. Crescevo, mi allenavo e studiavo. Ma spazio per la fede non ce n’era più. Delusa dagli anni del catechismo preparatori alla Comunione, ben presto decisi di lasciare il gruppo Cresima della parrocchia. Reputai che non fosse ancora arrivato il momento.

Quando hai realizzato che il Vangelo sarebbe stato un valore aggiunto alla tua vita?

Era l’estate del 2008 quando Benedetta, carissima amica di mia madre che lavora al Centro Nazionale, mi propose di partecipare al Convegno del MEG a Frascati. Avevo tredici anni e sinceramente non avevo capito bene di cosa si trattasse. Al mio arrivo sapevo solamente che tanti ragazzi da tutta Italia si riunivano per passare qualche giorno insieme condividendo e confrontandosi sulla fede e sulla loro relazione con il Signore.
Tornai dal Convegno così entusiasta che decisi che non potevo lasciare quello che avevo appena cominciato. Quell’incontro portò con sé entusiasmo e gioia di condividere, ma anche profondità e divertimento allo stesso tempo. Fu allora che realizzai che credere sarebbe stato per me un valore aggiunto, una spinta in più per affrontare il quotidiano, per vedere il mondo da una prospettiva diversa, con nuovi occhi. Quello che facevo nel MEG, durante le riunioni, mi appassionava molto e soprattutto mi permetteva di conoscere persone che sentivo simili a me con cui, da subito, sentivo una grande affinità. Insomma, sperimentavo in prima persona la “simpatia a priori”.
Tra i tuoi numerosi impegni di studente e di atleta, come sei riuscita a coltivare la fede?
Con il passare degli anni, percepivo sempre più il grande legame che si andava creando nel MEG. Alle volte non era neanche necessario parlare: bastava sentire il cuore pieno. Sono sempre stata, però, una persona molto pratica: preferivo fare piuttosto che soffermarmi a sentire. Insomma, molto Marta e poco Maria. Questo negli anni mi ha portata a pormi tantissime domande sulla mia fede e dico onestamente che ho affrontato anche molti dubbi. Se ancora credo, però, è anche grazie a quei dubbi e al confronto che ho avuto modo di avere con i miei fratelli di Comunità. Essendo un po’ restia ad esprimere in parole agli altri ciò in cui credo, anche all’interno del mio mondo sportivo ho avuto difficoltà ad esternare la mia fede. Penso, però, di esserci riuscita attraverso gesti e azioni concrete.

In che modo, quindi, sei riuscita ad essere Testimone?

Porgendo l’altra guancia! Mi spiego… L’ambiente sportivo di cui faccio parte è un mondo molto difficile da vivere. Noi atleti abbiamo grandi responsabilità nei confronti di coloro che puntano su di noi e sui nostri risultati. Coltiviamo grandi sogni ed ambizioni che spesso ci portano a forti momenti di stress. È un mondo competitivo e spesso questa competizione non si ferma sulla pedana, ma si esprime anche al di fuori, tanto che spesso è difficile creare nell’ambiente legami sinceri. Mi è capitato molte volte di vivere divisa a metà, poiché, essendo cresciuta con i valori che il MEG mi aveva trasmesso, sperimentavo un grande divario tra ciò che ero e ciò che avrei dovuto essere per cercare di vivere al meglio nel mio ambiente. Ho deciso allora di farmi portatrice dei valori del Vangelo anche in quel contesto più complicato e meno predisposto ad accoglierli. Ho deciso, appunto, di “porgere l’altra guancia”.
La mia carriera è stata costellata di momenti molto belli e di esperienze in giro per il mondo che mi porterò sempre dietro, ma c’è un rovescio della medaglia. Chi vede la mia vita da fuori pensa che sia tutte rose e fiori e lo è, in un certo senso; ma non è tutto oro quel che luccica. Le responsabilità che noi atleti viviamo sono pesanti, spesso chi ci giudica non è buono e gentile, ma usa parole forti, aspre. Così, in questi anni ho deciso di rispondere a ciò che mi succedeva non come atleta, ma come Chiara, la ragazza che fa il MEG e che sente e condivide profondamente i valori del rispetto e dell’amore verso il prossimo, sapendo anche porgere l’altra guancia e non dovere per forza utilizzare il principio dell'”occhio per occhio, dente per dente”. Così, ho sperimentato che questo stile non solo fa bene a me, ma fa bene anche a chi mi circonda, che a poco a poco capisce che porgere l’altra guancia non significa essere deboli e permettere all’altro di aggredirci ma, anzi, ci rende più forti e misericordiosi.