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Oltre il MEG

Cuba: nella nostra ambigua ricerca di Lui Dio ci viene sempre incontro

Il “nostro” Marco Colò, Vice Responsabile nazionale del MEG, racconta la sua esperienza di Terz’Anno a Cuba

Una realtà piccola e fragile, ma forte nell’Amore

Tra settembre 2018 e febbraio 2019, ho vissuto l’ultima parte della mia formazione da gesuita, il Terz’Anno, a Cuba. Lì ho fatto l’esperienza di un Chiesa piccola e fragile, ma piena di fede e di amore. “La Edad de Oro”, all’Havana, è una residenza sanitaria per persone con handicap grave. In questa struttura dello Stato è inserita una piccola comunità di Figlie della Carità. Sono 4 giovani religiose, di cui 3 cubane, che vivono lì e servono uomini e donne di tutte le età. Qualcuno degli ospiti non si muove dal letto, molti si spostano solo su carrozzina. In pochi sanno parlare. In molti sono come bambini da svegliare, da cambiare, da imboccare. Tutto con le risorse scarse che Cuba offre: lenzuola sgualcite e macchiate, drappi che servono come pannolini lavabili, magliette che provengono dalla rimanenza di uno stock prodotto per la maratona di una città nordamericana. In effetti non serve molto di più: come si vede dalla foto è Natale, ma si sta molto bene a maniche corte. Alcuni giovani sono venuti a cantare canti di Natale per “los niños” (“i bambini”, così sono chiamati gli ospiti, anche quando sono anziani).

La Edad de Oro, festa di Natale

Una vita che guarda all’essenziale

In gita con un gruppo di adolescenti su pullman privato

Ogni domenica andavo a “La Edad de Oro” con Paulo, confratello peruviano. Davamo una mano nei vari servizi e celebravamo la messa per le suore e per un piccolo gruppo di “niños”. Immagini ed odori sono forti. Ricordo una ragazza soprannominata “ping pong”, perché passava tutto il tempo seduta nel letto, oscillando avanti ed indietro. La mamma, una signora molto dignitosa e curata, veniva spesso. Se ne stava abbracciata a lungo alla figlia. Poi, all’ora del pasto, aiutava ad imboccare anche le altre ospiti. Nei reparti l’odore di sudore e di escrementi si fa sentire. All’inizio l’impatto è duro e ti domandi il perché di tanta umiliazione. Poi col tempo ti accorgi che la vita lì dentro non è peggiore che altrove, anzi. È ridotta all’essenziale forse, ma ci si trovano più solidarietà e più gioia. E la solidarietà è anche quella che gli stessi ospiti si scambiano: si aiutano, si cercano e si fanno gesti di affetto. Qui si fa la meravigliosa scoperta che la dignità umana non dipende dalle prestazioni, ma dal fatto di esserci e di volersi bene. Sarà per questo che tra le non molte vocazioni di Cuba, tante sono nate visitando, o facendo servizio in quel luogo.

Dio non ha paura delle nostre contraddizioni

Dei 6 mesi passati a Cuba, uno l’ho trascorso a Camagüey, capoluogo di una provincia agricola del centro dell’isola. Durante la settimana il tempo era diviso tra visite alle cappelle di campagna e l’andare a trovare anziani e malati. Ci guidavano tre suore di un’altra piccola congregazione. Siccome portavano sul petto una piccola medaglia del Sacro Cuore, venivano chiamate “las corazoncitos”. Una volta in cui mi trovavo presso una signora ultraottantenne con Sor Juliana, mi venne spiegato che quella donna aveva vissuto gli ultimi anni occupandosi di curare il marito e che ora era lei ad aver bisogno di assistenza. Le somministrai il sacramento degli infermi ma, date le sue condizioni molto precarie, eravamo incerti se darle o meno la Comunione. Mi decisi e gliela diedi. La signora mi guardò sorridendo e mi disse: “È come quando ero bambina”. Per vari decenni a Cuba, infatti, mostrarsi cristiani è costato la marginalizzazione e, per questa ragione, la pratica fra il popolo si è progressivamente interrotta. Così oggi non è infrequente trovare, accanto alla statua della “Virgen de la Caridad”, patrona di Cuba, la statua di un indiano: la madonna e l’idolo. Ma Dio non ha paura di venire incontro ai più fragili in questa ricerca ambigua della sua Presenza.

In una cappella di campagna

La Sua luce brilla negli occhi dei semplici

Un battesimo umile, ma pieno di Amore

Nella chiesa parrocchiale di Camagüey, dove ho risieduto, ho celebrato dei battesimi. Per l’occasione giungevano anche alcuni parenti emigrati negli Sati Uniti. Look texano: stivali di pelle, giacca borchiata, camicia rosa… Il battesimo che più mi è caro è quello di cui è immortalato un momento nella foto qui accanto. Il neofito non è il bambino, ma il nonno. Tutti gli altri erano già battezzati. Con una certa fretta, è sempre sor Juliana che mi ha condotto da lui. L’uomo (non ricordo il nome) era malato terminale di tumore. Mai battesimo mi fu più caro, nella gioia semplice e umile di questa casa di legno col pavimento in terra battuta, a margine di un rigagnolo pieno di spazzatura.

Da Cuba me ne sono tornato con uno sguardo nuovo. Ho imparato che se luccica, non è Dio. La Sua luce brilla invece negli occhi dei semplici.

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Durante la messa in parrocchia alcuni bambini del MEG raccontano un'attività svolta durante il catechismo