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Fortunata? Sì, mi sento fortunata

Benedetta, della comunità di Milano, ci racconta come ha conosciuto il MEG e cosa questo incontro ha cambiato nella sua vita

MEG? Cos’è?

Ciao!  Chissà da quale parte dell’Italia mi stai leggendo.

Piacere, mi chiamo Benedetta detta Betta o Benni, al MEG direi più frequentemente Benedè, alla pescarese.

Perché scrivo proprio qui sul sito del MEG? Bella domanda, se me lo avessero chiesto dieci anni fa non avrei neanche saputo rispondere cosa fosse il MEG. Ora, invece, eccomi qui a raccontarti come sono arrivata a scoprire questa realtà che mi ha accompagnata nel corso degli ultimi anni, in quelli che, per le scelte che ho dovuto prendere, sono stati gli anni più importanti della mia vita.

Ho sentito parlare del Movimento per la prima volta a 17 anni quando, a Selva di Valgardena, durante un campo dei Gesuiti per adolescenti, ho conosciuto un gruppo di ragazzi di Pescara con cui ho legato in modo speciale. Proprio loro mi hanno detto che frequentavano il Movimento Eucaristico Giovanile. Quell’espressione, all’inizio non mi suonava troppo bene, anzi mi metteva quasi ansia. A Milano avevo frequentato l’oratorio sin da quando ero piccola, ma del MEG non avevo mai sentito parlare e non solo perché sono un po’ distratta, ma perché nel capoluogo lombardo non esisteva.

Così dopo quell’estate, pur di rivedere quei famosi ragazzi pescaresi, mi sono iscritta al Convegno insieme con una mia amica. Potete immaginarvi l’emozione di quando, nell’assemblea iniziale, hanno salutato il MEG Lombardia! Ricordo ancora, come se fosse oggi, il grande urlo nel tendone solo per noi due milanesi! Mi sono sentita parte di un qualcosa di grande, avvolta dall’affetto di tanti.

Quella forte sensazione è stata il mio primo tuffo nel MEG.

Successivamente al Convegno, con altri ragazzi fuorisede che vivevano a Milano, abbiamo deciso di creare un gruppo. All’inizio eravamo pochi, ma spinti dal bisogno di uno spazio di condivisione nella vita quotidiana, siamo andati avanti e, piano piano, siamo diventati sempre più numerosi. La nostra determinazione ci ha portati a formare anche un primo gruppo di RN. Sono addirittura diventata Responsabile! Per essere nel MEG da così pochi anni, direi che ho fatto carriera!

Al mio primo Convegno MEG

Chi inizia a condividere? (Non guardare me)

In Argentina

Mi ricordo ancora la prima volta un incontro in cui, dopo un tempo di silenzio, mi era stato chiesto di condividere le mie riflessioni. Mi tremava la voce e speravo che il giro durasse il più a lungo possibile così che io poi potessi parlare il meno possibile e che sembrasse anche meno stupido quello che sarei riuscita a dire.

Non mi sono resa conto subito dell’importanza di quel momento si scambio e di quanto la condivisione diventasse sempre di più parte della mia vita anche fuori dal MEG. Quella sensazione di poter parlare liberamente di ciò che mi stava più a cuore e di sentirmi accolta fino in fondo è ciò che cominciavo a sentire come un bisogno nel momento in cui entravo in relazione con l’altro, anche nella mia vita quotidiana.

La bellezza dell’incontrarsi, dello scoprirsi e del sentirsi accettati e voluti bene è ciò che ho sperimentato soprattutto quando sono andata in Argentina, in missione con altri undici ragazzi del Movimento. È lì che ne ho avuto la piena conferma. Sconosciuti in partenza, ci siamo incontrati veramente dall’altra parte del mondo e abbiamo sperimentato la bellezza dell’affidarci a Qualcuno di più grande, dello scoprirci simili e complementari, senza nessuna paura di mostrare le nostre più profonde debolezze.

Adesso, mezz’ora di silenzio (E io come faccio?)

Ciò che ha preceduto l’ansia di condividere, è stata la paura di stare nel silenzio.

Iniziare a fare gli incontri MEG per me è stato esercitarmi a rimanere in quel silenzio di cui spesso avevo timore, perché temevo che mi “parlasse” di cose che non ero pronta a sentire.

Spinta proprio da quella paura, probabilmente per mettermi un po’ alla prova, ho quasi esagerato e ho scelto di andare a fare i miei primi Esercizi Spirituali: quattro giorni di preghiera, senza parlare, insieme con altri ragazzi della mia età.

Lì ho sperimentato la bellezza del silenzio, la sensazione di poter mollare tutto e sentire ogni cosa fino in fondo. Ho avuto la fortuna di poter conoscere i miei compagni attraverso gli sguardi e i piccoli gesti, quelli che spesso diamo per scontati e, soprattutto, la fortuna di avere un tempo dedicato solo per stare a tu per tu con un Amico che sa parlarti (anche se a volte ti sembra incomprensibile) e ti accoglie così come sei.

Ecco forse solo ora, mentre scrivo, mi rendo conto di quanto tutto questo mi abbia portato a cambiare il mio modo di guardare il mondo.

Dopo cinque anni di università, un mese in missione in Guinea-Bissau, un mese in Argentina, tre mesi in missione in Uganda e otto anni nel MEG, oggi posso dire di essere una maestra delle elementari che, quando pensa al MEG, si dice, felice: “Ho avuto la fortuna di incontrarti quasi per caso e, sì, mi sento tanto fortunata perché è successo: altrimenti, come potrei sorridere alla vita e al mondo così?”.

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Durante la messa in parrocchia alcuni bambini del MEG raccontano un'attività svolta durante il catechismo