L’amore passa attraverso gli sguardi

In Brasile, nella Casa do Menino Jesus
Luglio 2019, Missione in Brasile.
Durante l’ultimo giorno a Belem abbiamo fatto visita ai bambini oncologici della “Casa do Menino Jesus”.
Se è vero che l’amore passa attraverso lo sguardo, allora fermati a leggere cosa abbiamo visto anche per te.
Riscoprire di sapere amare
Una delle esperienze che mi hanno messo più alla prova è stata la visita ai bambini oncologici della “Casa do Menino Jesus”. Una struttura nel centro di Belèm, dove, grazie alle donazioni e alla buona volontà di alcuni volontari e collaboratori, vengono accolti e ospitati bambini e adolescenti, spesso accompagnati dalle madri, affetti da varie tipologie di tumore e che devono seguire terapie chemio e radio.
Superati gli alloggi privati, incontriamo bimbi molto piccoli, intenti a rincorrersi, altri che giocano sotto lo sguardo delle mamme e alcuni adolescenti con cellulare e cuffiette.
In una situazione di apparente ‘normalità’ la cosa che colpisce sono i loro occhi; occhi scuri che dovrebbero risplendere di scintille di vita, di speranza, di futuro, sono invece velati dalla malattia. Ci spiegano che alcuni avevano appena fatto la chemio e quindi non sarebbero stati in forze o socievoli, qualcuno era lì da poco, altri da anni e avevano dovuto lasciare scuola, sport e amici.
Quello che avevamo vissuto nei giorni precedenti, dal nostro arrivo irruento in Brasile, l’incontro con i fratelli del MEG, la curiosità e la voglia di conoscere nuovi luoghi, il desiderio di comunicare e condividere con nuove persone, in un attimo aveva lasciato il posto al silenzio, all’entrare in punta di piedi, all’incertezza su come comportarsi.
Sono stata attirata da un bambino di 3 anni che rimaneva vicino alla mamma, nonostante ci fosse un altro bimbo più o meno della stessa età che cercava di convincerlo a giocare. Con la scusa di una caramella, ho iniziato a parlare con lui e con l’amichetto con il mio portoghese improvvisato; nel mentre la mamma mi spiegava che, avendo fatto la chemio il giorno prima, non si sentiva molto bene.
Prendo in braccio lui e per mano l’amichetto e li porto a giocare con gli altri bambini, tutti insieme.
Il suo viso era cambiato e anche il mio.
Non so spiegare a parole cosa sia scattato in me quel pomeriggio e ancora più difficile è cercare di esprimere le emozioni che ho provato: sono partita in missione dopo una grande perdita nella mia vita, per riscoprire la capacità e anche la paura implicita di aprirmi e di amare il prossimo. Mi sento rinata, trasformata da un’esperienza che ho scelto, che ho vissuto a pieno e che mi ha regalato momenti inaspettati come questo. Solo una volta rientrata a casa, ho capito che il Signore mi aveva fatto visita in quel bambino.
Paola

Nel dolore esiste la speranza

Arrivati al centro ho un po’ di paura; non ho mai avuto occasione di stare vicino a persone malate di cancro e temo di non sapere come farli divertire.
Poi mi ha mosso la curiosità, quella del loro primo sguardo, uno sguardo che sembrava dire: “Vieni qui, ho bisogno di te per distrarmi”.
Ho provato e riprovato a portarli fuori dalla struttura per giocare e a farli divertire in tanti modi; erano imbarazzati non avendomi mai visto prima ma, grazie ai miei compagni di missione, sono riuscita a farli giocare e correre con un’energia molto bella che si notava nel loro sorriso.
All’inizio, ho provato a scattare qualche foto , ma poi ho preferito rinunciarci e vivere pienamente il momento, per riempire il mio cuore con la loro gioia immensa, la stessa che oggi, a distanza di mesi, vive dentro me e mi interroga su come questa possa essere presente anche in chi è provato grandemente dal dolore. Questi bambini non sanno che, inconsapevolmente, insegnano a noi più grandi che anche nel dolore esiste una speranza, una vita, una gioia più grande e più forte.
Petra
Un’esplosione di amore
Durante la missione in Brasile ci siamo spesso chiesti come e quanto si potesse comunicare attraverso il silenzio, attraverso un semplice e profondo sguardo o un sorriso. Al centro oncologico di Belèm, tutto ciò l’ho vissuto appieno.
Appena arrivati, siamo stati accolti con una gioia inaspettata da parte dei bambini presi in cura.
Giocavano, correvano… erano energia pura! Ad un certo punto, ho visto un bambino che giocava da solo, in silenzio. L’ho preso in braccio: mi guardava con uno sguardo un po’ spento, non sorrideva, non diceva nulla… Io cercavo in tutti i modi di fare breccia in quel silenzio e di farlo ridere, ma niente, non riuscivo.
Era disarmante. Avrei voluto avere una scusa per allontanarmi, avevo paura,
non mi sentivo all’altezza, “sbagliato” per quel contesto. Ma sentivo dentro di me una voce che mi diceva di rimanere lì, con lui, di “essere per lui”.
E all’improvviso, in quello sguardo spento e buio, si è accesa una luce incredibilmente grande. Il bambino mi fissava attentamente toccandomi il cuore con un sorriso gigantesco, rimettendo insieme in un istante tutto quello che in me si stava perdendo. Ero pervaso da un’esplosione di amore! Preso dalla gioia, l’ho lanciato in aria e l’ho riabbracciato; nell’istante in cui si trovava in aria, tutta la sua luce mi ha fatto capire quanto fosse importante per me essere lì, quanto fosse profondo il mio desiderio di amare.
Mi ha comunicato molto, in silenzio, attraverso il suo sguardo, attraverso la bellezza del suo sorriso pieno di vita.
Ed io lo ero con lui. Ero in pace. Ero felice.
Grazie Signore per il suo sguardo pieno di Te.
Walter

Ridere senza avere nulla

Modo più emozionante per concludere l’esperienza di missione in Brasile non poteva esserci.
Entrati nel centro sembrava tutto tranne che un posto triste come si può immaginare: bambini che giocano, corrono e danno calci ad un pallone come se per loro nulla stesse accadendo. Neanche il tempo di presentarmi, ed un bambino mi prende la mano, senza staccarmela più per tutto il resto della giornata.
Lui è Pablo, ha 6 anni ed ha un tumore al fegato da quando ne aveva 2. Abbiamo prima giocato ad “un, due, tre stella” poi ballato e cantato gli inni del MEG, la felicità passa attraverso giochi semplici. Quando si è seduto sulle mie gambe, ho iniziato a notare che cominciava a perdere i capelli a causa delle terapie di chemio che stava effettuando. Comincio a piangere, ma cerco di non farmi vedere, perché lui ride, ride da morire… lui ride da morire e non ha nulla, io piango ed ho tutto… questo è uno dei pensieri che mi porterò per sempre.
Giuseppe
Un amore spontaneo e forte
Quello che noti entrando nel centro è un’atmosfera di serenità, quella che non ti aspetti da una realtà come questa: operatori ed ospiti nutrono dentro di loro, anche inconsciamente, una speranza nel progetto di Dio per loro; gli stessi ragazzi sono gioiosi e solari, sebbene le loro condizioni di salute siano molto precarie.
Il
giorno prima del mio arrivo al centro oncologico di Belem mi ero fatto male
alla gamba destra giocando a calcio con i miei compagni di viaggio e con gli
altri ragazzi brasiliani che ci avevano accompagnato durante la missione,
sentivo per questo un po’ di dolore nel camminare. Ma un bambino, durante la
nostra visita, mi chiedeva salire sulle mie spalle per giocare a rincorrere e
lanciare una palla agli altri ragazzi che avevano anche loro un bambino sulle
loro spalle.
Allora mi sono fatto coraggio e l’ho preso su di me; i primi passi sono stati
dolorosi, ma dopo poco tempo il dolore alla gamba è sparito quasi del tutto e
questo mi ha permesso di giocare per molto tempo ancora. Un miracolo? Io credo
di no… semplicemente penso che donare sé stessi a qualcun altro, amarlo in modo
spontaneo e semplice ci faccia stare bene e ci faccia dimenticare la stanchezza
e il dolore.
Questo e non solo ho trovato nella Casa di Gesù Bambino: un amore spontaneo e forte.
Un amore per cui vale la pena rischiare.
Matteo

Tutto l’amore che ho visto nei suoi occhi

Quello che abbiamo trovato alla
“Casa do menino Jesus” mi ha sconvolta: c’era la sofferenza, e forse anche un po’ di tristezza. Ma io mi aspettavo di entrare in qualcosa di simile ad una clinica, e invece mi sono resa conto di essere entrata in quella che per tanti ragazzi e bambini è diventata una vera casa.
Sui muri erano appese tante foto che raccontavano la storia della struttura, nel cortile le mamme chiacchieravano, un ragazzo guardava una serie TV nella sala da pranzo e i bambini più piccoli correvano da una parte all’altra, attraversando i corridoi.
Per cercare di fare conversazione mi sono avvicinata ad una ragazza della mia età e le ho chiesto da quanto tempo fosse nella casa e se stesse facendo delle cure. Mi ha indicato uno dei bambini che correvano: era lì per suo figlio, di 4 anni, che da 2 aveva un tumore.
Quando ripenso alla “Casa do menino Jesus” nella mia mente compare il viso di questa giovane madre, la risata dei bambini che giocavano, il telefilm che guardava il ragazzo nella sala da pranzo.
Quando ripenso alla “Casa do menino Jesus” rivedo il sorriso dell’operatore che ci ha accolti e accompagnati nella visita, tutto l’amore che ho visto nei suoi occhi. Quando ripenso alla “Casa do menino Jesus” torna in me il desiderio di trasmettere loro tutta la forza e il sostegno possibile, di fargli sapere che non sono soli nella loro lotta per la vita.
Margherita
Piccoli donatori di smisurata felicità
Ultimi giorni di missione. Iniziavo ad avvertire un po di stanchezza ma la voglia, il grande desiderio di continuare ad essere strumento dell’amore di Dio per qualcuno che ne aveva bisogno, era più forte di tutto. Quando mi è stato detto dove eravamo diretti, sono stata subito presa da un sentimento di tristezza e sconforto che mi ha accompagnato lungo il tragitto.
Tutto è cambiato al nostro arrivo: sembrava che stessimo partecipando ad una festa!
Bambini pieni di gioia, di vita, che continuavano a regalarci sorrisi senza averci mai visto nella loro vita, ci hanno accolto come se fossimo stati loro fratelli. Questi bambini che la mattina avevano fatto il ciclo di chemio, il pomeriggio erano lì, con noi, per noi. Eppure il mio pensiero era quello di dover essere o fare qualcosa per loro e invece loro sono stati tutto per noi. Abbiamo giocato insieme, poi per un attimo mi sono fermata ed ho deciso di godermi quel momento: tutti i ragazzi italiani stava giocando con i bambini, li ho osservati; ho sentito l’amore nell’aria, ho sentito Dio in mezzo a noi e l’ho ringraziato per aver messo sul cammino della mia vita i miei fratelli e questi piccoli donatori di felicità smisurata.
Sarei voluta rimanere con loro per sempre, per gioire con loro ma soprattutto per essere lì e per supportarli nei momenti di debolezza, di tristezza, nei momenti in cui non ce la faranno, quelli in cui arriva la stanchezza fisica e non solo.
Avrei voluto fare proprio come hanno fatto loro con me: consolarmi, regalarmi spensieratezza, nonostante tutto.
Rita

Tutto andava oltre

Quando ci dissero che avremmo visitato una casa dove c’erano dei bambini malati di cancro ero molto emozionata ma anche un po’ tesa.
Arrivati, passando per il corridoio, guardavo incuriosita dentro ogni camera per vedere se ci fosse qualcuno ed ho incrociato una bambina seduta nel letto, senza capelli. Mi si è stretto lo stomaco, ho proseguito. Qualche metro più avanti ho visto un ragazzo seduto al tavolo, da solo, che guardava una serie TV.
Era Joelson, un ragazzo di 16 anni.
Aveva un sorriso meraviglioso. Gli ho chiesto che musica gli piacesse e mi ha fatto ascoltare alcune canzoni della sua playlist. Lo guardavo e sorridevo, non mi veniva da fare nient’ altro, ci cercavamo a vicenda con gli sguardi, nessun linguaggio verbale, tutto andava oltre.
Ripenso spesso a quei momenti in cui bastava davvero poco ma tutto valeva tanto. Forse Joelson è stato un segno che mi ha voluto dare il Signore. Non mi scorderò mai il suo sorriso.
Chiara