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Oltre il MEG

Viaggiare ascoltando il mio cuore

Mi chiamo Ludovica, ho 23 anni e colleziono chiavi abbandonate. Non sono mai in ritardo ma mi perdo sempre tutto. Sono di Pescara, dove faccio il MEG nella comunità di Pe3, ma ho vissuto anche in Spagna e Colombia. Mi sono appena laureata in Architettura.

Tutto è cominciato in Argentina

Nel 2016 sono partita per la prima esperienza missionaria MEG, in Argentina. Eravamo un manipolo di increduli con una promessa che risuonava nelle nostre orecchie: “Sarà tutto bellissimo!”. Non sapevamo neanche chi ce l’avesse detto, ma suonava così familiare che non potevamo non crederci. Lì, in una terra dove esiste il verbo “misionar”, ho imparato cos’è missione per me: raggiungere un altro continente per incontrare le persone. L’ho capito tardi eh, quando, già tornata a casa, mi sono accorta di quanto gli incontri che avevo fatto non smettessero di continuare a cambiarmi.

Non so neppure perché avessi deciso di partire… Sicuramente ricordo che quando scrissi a Padre Andrea se fossero rimasti ancora posti disponibili, mi aspettavo un suo no, quindi l’ho chiesto senza pensarci troppo. Solo una volta arrivata all’aeroporto di Fiumicino sentii che la mia valigia, forse, non sarebbe stata sufficiente. Nonostante questo, da quel momento in poi, non ho più smesso più di viaggiare.

La comunità MEG di San Roque dopo aver “missionato” tutto il giorno!

Volevo trovare il mio posto nel mondo

Tipica casa di terra e legno nella foresta

L’anno dopo sono partita per il Progetto Erasmus in Spagna e, nell’ottobre successivo, sono andata in Colombia.

Sentivo forte il desiderio di muovermi, di scoprire, di raccontare, di trovare il mio posto nel mondo.

In Colombia ho vissuto 4 mesi nella residenza per studenti stranieri, all’interno di un enorme Campus universitario a Bogotà, recintato e sorvegliato, pieno di piccole costruzioni, tra cui la mia casina. La sera si spegneva tutto e tutti uscivano. Io (l’unica studentessa straniera) rimanevo la sola abitante di quella città abbandonata (una figata spaziale!).

Ero lì per fare il tirocinio e, per questo, ho avuto l’occasione di partecipare a due workshop in un posto pazzesco: la foresta Amazzonica. Insieme ad altri studenti, lavoravo con la comunità di Charrasquera: poche famiglie che vivevano in casette di legno sparse nella foresta. Lo scopo della nostra permanenza in quel luogo era capire come fare qualcosa per alcune persone, per lo più anziane, che avevano scelto di vivere senza acqua corrente, energia elettrica, né connessione internet, per coltivare coca. Il centro del villaggio era stato distrutto nel 2002 in uno scontro tra Paramilitari e Forze rivoluzionarie e, in quell’occasione, morirono molti tra gli abitanti in fuga. 

Immersa in un tempo senza misura, alzandomi col sorgere del sole e non guardando il telefono per 10 giorni, ho scoperto quanto fosse facile ascoltarmi: sentivo di volere mettere al servizio di quelle persone ciò che sapevo fare. Così, decisi di fare la mia tesi per quella gente. 

I miei progetti, il Tuo progetto per me

I Colombiani sono bravissimi a chiedere: nessuno inizia un discorso senza averti chiesto prima “Come stai?”. Quando non rispondevo, perché mi sembrava che la loro fosse solo una frase di cortesia, loro di nuovo mi ripetevano: “Come stai qui in Colombia?”. Così imparai a domandare a mia volta e, invece di progettare chissà cosa per salvare il mondo, iniziai a chiedere alle persone cosa desiderassero, di che cosa avessero bisogno.

C’erano dei giorni in cui semplicemente volevano più soldi. Altri, invece, in cui mi dicevano che sarebbero stati contenti che si riaprisse una scuola e che nel villaggio tornassero i bambini.

Con due dei pochissimi bambini della comunità

Il Signore parlava alla mia vita

Don Ismel

Un giorno Don Ismel (un vecchino di più di 80 anni) mi ha detto: “Vorrei una stanza in più, così, quando tornate a trovarci, vi potrei ospitare a casa mia”. Il giorno dopo, Doña Luz mi caricava su una moto per andare fino a casa sua e offrirmi una merenda. 

Mentre capivo che gli abitanti di Charrasquera, con il riprendere di una vita comunitaria, iniziavano a sentire desideri sempre più profondi, mi accorgevo che io iniziavo a sentire il mio posto nel mondo. Così, mentre Don Ramiro mi offriva un lotto di terra vicino al suo per costruire una piccola casa, io pensavo a tutto lo spazio che volevo riempire in camera mia, a Pescara. Vivere in quella comunità, animata dal desiderio di ricostruirsi una vita in un territorio che li spinge invece al narcotraffico e alla deforestazione, mi riportava alla mente la difficoltà che facciamo noi, della comunità di Pe3, a seguire i nostri desideri, la nostra fede, immersi come siamo nella società del profitto. Il Signore parlava alla mia vita in un luogo così lontano e diverso. Dove si condivideva un progetto di vita dopo molto tempo, dove senza una chiesa o comunione tra le persone si parlava di redenzione. Parlava a me che faccio così difficoltà a condividere i miei progetti, a far entrare nella mia casa sperduta altre persone. Mi parlava della bellezza di un progetto condiviso. Ed è forse proprio questo una foresta: una miriade di alberi diversi che respirano insieme, che sono uno perché cresciuti troppo vicini da ignorarsi, troppo uguali per farsi la guerra e troppo diversi da non aver bisogno l’uno dell’altro.

Il viaggio continua…

Ero partita per mettermi in ascolto di qualcuno diverso da me. Quando parlo con una persona in una lingua diversa, che ha un colore diverso di pelle e con pensieri differenti dai miei, mi accorgo che c’è molto di più di quello che semplicemente sono solita pensare e mi sento meno sola. Il mondo è fatto di persone stupende, che sanno fare cose incredibili! All’inizio, questo mi faceva sentire inadeguata, poi ho iniziato a ringraziare per tutto ciò che loro sapevano fare e non sarebbe toccato a me.

Viaggiare mi ha fatto ricordare perché, prima di partire, mi ero innamorata di Francesco. Una persona diametralmente diversa da me, con cui condivido un progetto di vita.

Lui ogni giorno mi fa scoprire ciò che non sono e che invece è lui, ciò che posso essere e ciò che siamo insieme. Viaggiamo spesso tra queste scoperte, anche se abitiamo nella stessa città.

Mentre tornavo a casa, aspettando il secondo volo che da Parigi mi avrebbe riportato in Italia, tornavo alla mia vita restando una viaggiatrice: esplorando con curiosità nuovi “continenti”, come la mia famiglia, Francesco, la mia comunità… con un bagaglio ancora insufficiente, ma mai da sola. Non era più un semplice bisogno di scoprire mondi inesplorati. Avevo capito che viaggiare ascoltando il mio cuore, ascoltando il Signore, significava viaggiare ogni giorno della mia vita, amando profondamente ciò che vivevo quotidianamente, ma che ora riuscivo a guardare come una continua, grande scoperta.

Francesco ed io
Fai il MEG

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Puoi avviare una nuova comunità utilizzando i nostri percorsi per il catechismo, Catemeg, o gli itinerari tematici annuali proposti nei sussidi “MEGResponsabili”.

Durante la messa in parrocchia alcuni bambini del MEG raccontano un'attività svolta durante il catechismo