Legami oltremare

C14 Missione Comunità
È sulla ripetizione che spesso si basa l’amore. Per questo motivo siamo tornati in Albania, per ripetere l’esperienza, la missione, per confermare la fraternità. L’ abbiamo fatto all’inizio di questo gennaio, a Scutari, con diciassette C.14 e otto Responsabili del MEG, tra cui quello Nazionale, Padre Andrea Picciau. Ecco otto “mani” che lo raccontano…
Cambiare prospettiva (Matteo – To7)
È il secondo giorno di missione qui in Albania e stiamo andando a visitare zone della periferia dove le persone vivono in grande difficoltà. Quello che mi ha spiazzato è la loro forza, il loro non darsi per vinti, la capacità di lottare per avere un futuro migliore. L’impatto con la loro realtà mi fa un po’ male. Non sono diversi da me, eppure sembra che la vita li metta costantemente alla prova. Il recente terremoto ne è un esempio. Tutto questo mi fa diventare consapevole della mia fortuna, del mio poter avere tanto… In questa periferia camminiamo su una strada molto disastrata, sorretta da travi di legno e cemento armato. Penso a come potrebbe bastare una scossa per far crollare tutto, penso alla loro difficoltà e a quanto siano abbandonati a loro stessi dallo Stato. Questa strada di legno cambia la prospettiva del mio viaggio, mi avvicina alla preghiera, al Signore, mi ricorda che quello che mi piacerebbe fare è aiutare l’altro, oggi e in futuro.

Ho incontrato il Signore (Anna – Ca10)

Quando ho scelto di partire per il viaggio missionario in Albania non sapevo cosa mi aspettasse, non sapevo chi avrei incontrato, non sapevo nulla… Ma sapevo che volevo partire. La voglia di incontrare persone con le quali avere un legame autentico ha fatto subito a botte con paura di non essere all’altezza. Ma appena ho incontrato quello che sarebbe stato il mio gruppo, mi sono resa conto che nessuno mi avrebbe giudicata e che, nonostante ci conoscessimo poco, eravamo già fratelli, perché partire insieme, credere nel Signore, essere del MEG ci rendeva già una famiglia. Niente di ciò che abbiamo vissuto era scontato, eppure ci siamo fidati l’uno dell’altro. È stato magnifico fin dal primo istante. C’era un’atmosfera bellissima, di rispetto e sincerità. Era uno di quei gruppi nei quali ci si sente accolti.
Ho trovato il Signore nello sguardo delle persone che ci hanno aperto la porta di casa, che ci hanno fatto entrare nella loro vita molto semplice, con il “cuore in fiamme e gli occhi lucidi”, sempre con il sorriso, quello “di chi non ha mai perso la speranza”.
Ho trovato il Signore nella loro generosità, quella di chi ha poco ma ti dà tutto. L’ho incontrato nelle persone che ci hanno raccontato il loro difficile passato, insieme alla gioia di averlo superato, in ogni sorriso, in ogni abbraccio e in ogni condivisione.
Questa esperienza insegna quello che davvero conta e ciò che può dare valore alla tua e alla mia vita: ricambiare un sorriso.
Sentirsi a casa (Anita – Ca10)
Appena atterrati all’aeroporto di Tirana, Padre Andrea ci ha chiesto di lasciare lì paure ed aspettative e non portarle con noi. Ma l’impatto con una nuova esperienza porta con sé sempre una certa dose di timore.
Solo ora capisco cosa intendeva. Rileggo l’esperienza con uno sguardo diverso da allora e penso a quanto abbia riempito di bellezza la mia vita, rendendomi immensamente grata di tutte le persone che ho conosciuto. Perché è nelle loro storie e nei loro sorrisi che ho trovato il Signore, da cui mi ero allontanata da tempo.
Ho conosciuto una realtà di cui avevo solo sentivo parlare e penso a quanto un posto che non avevi mai visto prima possa, in così poco tempo, diventare casa.

Prendi un mandarino (Clarice – Roma San Martino)

“Se parlano solo inglese come faccio?”. “E se non riesco a trasmettere gioia?”… Paure prima della partenza. Poi, ti basta arrivare per capire che, se hai il MEG ed il Signore con te, non importa che lingua parli, perché tutto diventa spontaneo, tutto si comprende.
Il primo ricordo che ho è l’accoglienza, quella di Suor Valentina e dei ragazzi del MEG Albania, quella che si dà a chi conosci da sempre, a chi è già tuo fratello.
La prima cosa che impari in Albania è che le “cose” alle quali solitamente dai fondamentale importanza non valgono nulla, non ti migliorano, non ti sono veramente utili. Ed è proprio così. L’ho capito con la visita nelle carceri e nei luoghi colpiti dal terremoto, dove c’è chi dorme in tenda, accanto alla propria casa rasa al suolo. Lo Stato non aiuta, forse nessuno lo fa. Empatia, commozione, dolore: è questo che si prova. Ma anche speranza, che si fa spazio con la preghiera.
La meraviglia di chi ha pochissimo, ma ti dà tutto la scopriamo quando nel salutarli ci regalano un mandarino. Da questo gesto capisco cos’è la gratitudine, la generosità e che si può amare anche così, con gesti molto semplici.
Questo episodio ci aiuta a capire come dovrebbe essere accolto l’altro, a comprendere i suoi comportamenti, qual è la sua storia, senza giudicarlo, solo amandolo e aiutandolo.
La parola che chiude questa esperienza è: grazie! A chi mi ha accompagnato, a Padre Andrea e a tutti coloro che ho “scoperto” lì. Invito i miei coetanei a non avere paura di giocarsi in queste esperienze, perché si torna a casa con un bagaglio ed un cuore pieno.