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Amigos, juntos, sempre

Vogliamo raccontarvi una storia. Una storia fatta di sguardi, abbracci, silenzi, emozioni, parole, forse incomprensibili per la mente, ma dirette per il cuore. Una storia di lacrime, dolore, felicità, condivisione e unione.
Una storia di persone che si incontrano per la prima volta nella loro vita e in un attimo sono capaci di superare qualsiasi difficoltà linguistica e parlare col cuore. Una storia di persone che non ti conoscono ma sanno già chi sei: strumento dell’amore di Dio.
La storia di una grande famiglia unita nel Suo amore.

Così il 9 luglio noi, Walter, Gabriele, Matteo, Didier, Giuseppe, Jasmeeta, Margherita, Petra, Chiara, Paola e Rita, undici ragazzi di diverse regioni d’Italia, siamo partiti insieme a Padre Andrea Picciau per un viaggio missionario in Brasile. Adrenalina a mille, l’emozione di vivere qualcosa di unico, proprio sulla nostra pelle, che cambierà per sempre le nostre vite. La voglia di scoprire una nuova terra, una nuova cultura, nuove tradizioni, sono state la cornice di venti giorni in cui abbiamo fatto esperienza di vita vera e di una fede semplice e profonda. Cosa avremmo fatto quei giorni? Cosa significa praticamente essere in missione? Durante tutto il viaggio di andata ci siamo posti queste domande tra idee e supposizioni senza darci una risposta precisa. In realtà nessuno conosceva il significato reale della parola “missione”. Non lo sai fin quando non la vivi. 

Accolti e custoditi

P. Eliomar SJ, Responsabile Nazionale MEJ Brasile

Arrivati all’aeroporto di Belem, l’incredulità dei nostri sguardi è stata il segno di un primo grande passo: attraversare l’oceano, toccare l’Equatore e finalmente toccare terra brasiliana. Già nel tragitto dall’aeroporto al primo ostello che ci ha ospitato, abbiamo pregustato, dai finestrini di un pullmino, strade, luci, persone, suoni e rumori che, nei giorni a venire, sarebbero stati la nostra casa.
All’ostello siamo stati accolti da padre Claudio Barriga SJ e da Padre Eliomar SJ, direttore nazionale del MEG. Entrambi, fin da subito, ci hanno fatto sentire “uniti in un abbraccio”, un gesto che senza parole dice: “benvenuto, ti stavamo aspettando!”, quell’ abbraccio tipico dell’uomo eucaristico, che noi del MEG conosciamo benissimo.
Fin da subito, il Signore ha voluto manifestarsi a noi attraverso due angeli che ci hanno accompagnato durante la missione, Leo e Ligia, due ragazzi brasiliani che si sono presi cura di noi, senza lasciarci un secondo soli, sempre con il loro sguardo rivolto al nostro. Si sono preoccupati e occupati di tutto: visite, biglietti, soldi, sicurezza. Senza di loro sarebbe stato tutto più difficile, sia a livello pratico che dal punto di vista fisico e psicologico. Sono stati fondamentali per noi, come noi per loro; ma tutto questo, lo si comprende alla fine, quando facendo memoria di quei giorni, il cuore si riscalda al ricordo dei loro volti. 

Al convegno del MEG Brasile

Nei primi giorni abbiamo visitato il centro di Belém e poi ci siamo spostati a Benevides, per partecipare al convegno nazionale del MEG, con circa centocinquanta ragazzi, delegati e coordinatori dei vari Stati brasiliani in cui oggi è presente il movimento.
Quanto può essere emozionante il fatto di essere uniti tutti per uno stesso motivo! Quanto può essere bella l’idea di una Persona in grado di unire così tante diversità! 

In quei tre giorni di convegno, abbiamo vissuto la prima vera esperienza di unione. Noi italiani siamo stati considerati come il ventisettesimo Stato del Brasile e non come un gruppo a parte. È stato bellissimo! Molto simile al nostro convegno, tra incontri di formazione, attività di gruppo, dinamiche e condivisione, abbiamo vissuto la realtà del MEG del Brasile, una realtà sempre accompagnata da musiche vive e silenzi pieni. Due dimensioni sempre vissute con estrema semplicità: un attimo prima si balla e si canta su musiche tradizionali brasiliane e italiane e poco dopo il silenzio più assoluto, occhi chiusi, una voce guida e in un secondo, la preghiera, il contatto con il Signore. 

In missione, nelle sue mani

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Dopo il convegno, alcuni ragazzi sono rientrati a casa, altri invece (undici in tutto), si sono fermati e hanno intrapreso la loro missione con noi.
Coordinati da Ligia e Fausto, il coordinatore del MEG dello stato del Parà, dove stavamo noi, la missione ha avuto inizio: uscire per le strade e bussare alle porte delle persone per poterle ascoltare e conoscere, intrecciando le nostre vite alle loro. Ogni giorno abbiamo visitato una comunità diversa e dopo una breve accoglienza e presentazione, divisi in piccoli gruppi sempre eterogenei, andavamo per le strade. Qui, insieme a gioie inaspettate, sono iniziate anche le prime difficoltà. La fatica del cammino, la non piena accoglienza ricevuta in qualche casa, il sentire che ciò che stavamo facendo non era una cosa scontata e bella a prescindere. Ci muovevamo per le strade e per le case della gente del posto senza nessun tipo di garanzia di essere ricevuti o accolti. Abbiamo trovato tante porte chiuse, qualcuno un po’ freddo e distaccato. Alcuni di noi si sono chiesti se fossero nel posto giusto, se veramente quella missione fosse adatta a loro o se avessero fatto meglio a restare a casa. La lotta interiore scaturita da questi interrogativi, senza che ce ne rendessimo conto, ci ha fatto vivere il centro, il cuore del MEG in Brasile: l’amicizia con Gesù. Infatti, diciamo continuamente che Gesù è il nostro amico per eccellenza ma forse non sempre viviamo il rapporto con Lui come dovremmo. Con un amico non va sempre tutto bene, ci sono momenti di estrema felicità ma ci sono anche situazioni, e non poche, in cui si discute, ci si confronta, a volte si litiga e ci si allontana. Solo quando si dà spazio all’ascolto reciproco e al venirsi incontro possiamo ricominciare a camminare insieme, più forti di prima. Questo è quello che abbiamo vissuto: nel momento di difficoltà, è bastato parlare al Signore, gridare la propria sofferenza e Lui, subito ha trovato un modo per tenerti stretto a sé. Dopo tante porte chiuse sono sempre arrivati i cuori aperti, sempre! Ad esempio abbiamo incontrato una comunità di bambini meravigliosa. Convivono in quattordici all’interno di piccolissime baracche e pur non avendo nulla con cui giocare, in realtà hanno già tutto. Quello povero sei tu mentre i ricchi sono loro! È la ricchezza del cuore per cui sono sufficienti un pezzo di legno e un amico per essere le persone più felici del mondo. 

La missione: Essere, esserci

Così siamo arrivati a capire cos’è “la missione”. Non si tratta di fare qualcosa per chissà chi o di ricevere qualcosa di particolare da qualcuno. Si tratta semplicemente di essere, di esserci. Non importa quante persone vorranno parlare con te, quante non lo vorranno, quante desidereranno raccontarti tutta la loro vita o quante invece non ti degneranno neanche di uno sguardo. L’importante è essere lì, in quel momento, essere lì per l’altro che ti sta aspettando. Per l’altro, che aspetta qualcuno che lo ascolti o per qualcun altro che sia semplicemente desideroso di uno sguardo, un sorriso, un abbraccio, una preghiera. Siamo rimasti stupiti di come la gente di questo meraviglioso posto, si commuova non appena inizi a parlare di fede. Perché la fede è tutto quello che hanno e tutto quello che gli basta. Siamo passati in case dove il bagno e la camera da letto sono in un unico ambiente, dove la mamma e il papà sono analfabeti e dove i bambini camminano scalzi su pedane piene di chiodi. Abbiamo chiesto a loro se fossero felici o se avessero bisogno di qualcosa in quel particolare momento ma, con un sorriso infinito stampato in volto, la loro risposta è sempre stata: «Sto bene, sono felice, ho un tetto, una famiglia e la fede!». Che altro c’è da dire! 

In missione tra noi

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La missione l’abbiamo vissuta anche tra noi, una missione tra noi missionari italiani e brasiliani. Dopo qualche difficoltà linguistica, che di solito è quella che fa più paura e che porta a chiudersi in sé stessi, abbiamo sciolto l’imbarazzo iniziale, comunicando in tutti i modi possibili ma non perché fossimo tenuti a costruire un’amicizia forzata ma perché abbiamo voluto veramente creare un rapporto fraterno tra noi. Tra portoghese, “itagnolo”, dialetti vari, gesti e fischi, non abbiamo più smesso di parlare. 

Le nostre vite e le loro sono state affluenti di un corso più grande e profondo che mescolandosi insieme hanno scritto le pagine di questa storia bellissima che a stento si può descrivere. La si può solo vivere! 

“Somos amigos e estaremos juntos, sempre” che significa “siamo amici e resteremo uniti, sempre”. E noi ringraziamo immensamente il Signore per questi amici, per questi fratelli e per tutte le persone incontrate in quei giorni perché è in loro che abbiamo visto il Suo volto ed è con loro che abbiamo sperimentato il Suo amore. 

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Durante la messa in parrocchia alcuni bambini del MEG raccontano un'attività svolta durante il catechismo